Comincia così l'Introduzione del romanzo L'orologio con le ali, che racconta le vicende di personaggi fittizi ma è saldamente ancorato alla realtà storica e vuole renderle l'omaggio che merita. Per questo, mi sembra doveroso dedicare una pagina a quelli che c'erano, alle vicissitudini autentiche di quanti vissero in prima persona i giorni decisivi della Seconda Guerra Mondiale.
FRED GLOVER
La
storia che segue è un riassunto della testimonianza di Fred Glover
pubblicata da Neil Barber in The Day The Devils Dropped In (Pen &
Sword Aviation, Regno Unito, 2002).
Nelle prime ore del 6 giugno 1944 Fred
Glover (sopra) fa parte del gruppo che dovrebbe raggiungere la Batteria a bordo di uno
dei tre alianti destinati ad avviare l'assalto dall'interno della zona
fortificata. Il pilota non è in grado di distinguere l'obiettivo perché il
necessario per le segnalazioni (mortai lanciarazzi, boe luminose,...) è andato
perduto come gran parte del materiale paracadutato in precedenza. Quando
sorvola la batteria, la guarnigione - allertata dal passaggio del primo aliante
- è pronta ad aprire il fuoco. I traccianti attraversano la fusoliera e le ali,
Glover ricorderà di aver visto le proprie gambe alzarsi e di non aver capito
subito di essere stato colpito. Il pilota compie una manovra diversiva per
sottrarsi alla contraerea, portando l'aliante su un frutteto mezzo chilometro a
est dell'obiettivo. Nello schianto il velivolo perde la coda e le ali. I Para
incolumi aiutano gli altri - Glover tra questi - a uscire attraverso un ampio
squarcio sul fianco destro, trovando riparo nei crateri prodotti dalle
incursioni aeree dei giorni e delle ore precedenti.
Da qui distinguono
nell'oscurità un gruppo di uomini che procedono verso la Batteria. Non possono
essere che nemici, così aprono il fuoco avviando uno scontro che ha il merito
di impedire ai rinforzi tedeschi di raggiungere l'obiettivo durante l'attacco.
Quando si rendono conto che i loro compagni hanno preso la Batteria, i Para in
grado di camminare si avviano verso il punto d'incontro previsto. Ci prova
anche Glover, ma il dolore delle ferite è diventato insopportabile. Un
infermiere somministra la morfina a lui e ad altri tre feriti (tra i quali due
tedeschi), poi li lascia all'interno di un cratere. Qui sono trovati da una
pattuglia delle SS e Glover è fortunato perché uno dei tedeschi feriti è
cosciente e racconta agli altri di essere stato curato da un infermiere
inglese. Altrimenti è probabile che Glover sarebbe abbattuto come prevedono gli
ordini superiori e come accade ad altri Para catturati.
Glover è trasferito da Merville a un
ospedale da campo tedesco, poi spostato più volte e infine inviato a Parigi,
presso l'Hôpital de la Pitié. Nella capitale l'atmosfera è quella della
disfatta imminente, Glover e gli altri militari ricoverati temono che la tappa
successiva sarà un campo di prigionia in Germania. Così, approfittando di una
vigilanza sempre più distratta e delle conoscenze fatte tra il personale medico
francese, Glover decide di fuggire, ma saltando dal tetto dell'infermeria cadde
malamente e le ferite alle gambe si riaprono. Gli uomini della Resistenza che
lo aspettavano lo portano via e lo curano, ma il giorno dopo gli consigliano di
tornare all'ospedale per farsi assistere meglio e perché i tedeschi in fuga
stanno abbandonando i feriti.
Di ritorno alla Pitié, praticamente ignorato dai
tedeschi che pensano a lasciare Parigi nel più breve tempo possibile, Glover si
introduce nel locale riservato agli ufficiali e ruba una Luger con tanto di
fondina e caricatore. Così armato, attende l'arrivo dei primi carri alleati, la
Divisione del generale Leclerc, sui Boulevard di Parigi, tra centinaia di
migliaia di cittadini in delirio. La festa si interrompe quando, dall'ultimo
piano di un edificio alle sue spalle, qualcuno comincia a sparare sulla folla.
Glover e un commilitone incontrato all'ospedale agiscono da Paracadutisti:
entrano nell'immobile, salgono le scale - faticosamente, sono convalescenti
tutti e due - dove incrociano un'anziana che corre urlando e gli indica una
porta socchiusa in fondo al corridoio. La spalancano e Glover, notando una
tenda muoversi, spara due colpi. Non ha il tempo di verificare se ha colpito
qualcuno perché nel frattempo il locale comincia a disintegrarsi, centrato da
un blindato che ha individuato l'origine dei colpi e sta sparando dalla strada.
Schizzano fuori tutti e due e si mettono in salvo.
Nelle
settimane successive Glover dà una mano ai Partigiani che pattugliano le
strade, armato di fucile, poi gli consigliano di partire per farsi curare in
patria perché lo stato delle sue ferite si deteriora. La Resistenza lo affida a
un ufficiale americano e, prima di partire, Glover regala la propria giacca
mimetica al capo del primo gruppo partigiano con cui è entrato in contatto a
Parigi. Dopo qualche ora presso un ospedale da campo, è caricato su un C-47
Dakota e trasportato in Inghilterra.
Sopra: Fred Glover a Merville nel 2013.
Quando
scoppia la guerra (1939), Gordon Newton ha 15 anni ed è operaio presso una
fabbrica che produce una lega metallica partendo dalla carta argentata. Nel
1942, si arruola nell'esercito, che lo assegna al Royal Sussex Regiment. Nel
1943 presenta la domanda per passare nell'Aviotrasportata.
Il
5 giugno 1944, Paracadutista del 9. Battaglione, è a bordo di uno degli alianti
incaricati di avviare l'assalto dall'interno della Batteria di
Merville. Alto e robusto, gli affidano l'arma individuale più pesante: un
lanciafiamme che sistema sotto la propria panca. Durante la traversata della
Manica, il paracadute d'arresto situato nella coda si apre facendo perdere
velocità e quota al velivolo, che finirebbe in acqua se il secondo pilota non
intervenisse tagliando le cinghie cui è assicurato. Arrivato nella zona
dell'obiettivo, l'aliante è accolto dal fuoco della contraerea: un proiettile
centra il lanciafiamme rendendolo inservibile, ma senza provocare un incendio
che avrebbe causato la morte di tutti gli occupanti. Quando ritiene di aver
individuato la Batteria, il pilota si sgancia dall'Albemarle che traina
l'aliante, ma subito dopo si rende conto che sta per atterrare in un villaggio
(Gonneville) e vira in direzione di uno dei campi allagati. Newton e gli altri
escono nell'acqua che arriva alla vita e per loro comincia un lungo vagare
nelle campagne che dura fino all'incontro, diverse ore più tardi, con alcuni
canadesi che li conducono al Quartier Generale provvisorio della Brigata. Di
qui sono spediti a presidiare il castello di Saint-Côme e il bosco circostante,
a sud di Bréville, di cruciale importanza strategica perché sopraelevati, con
un'ampia visuale a sud e ovest, dove si trovano i ponti sull'Orne e il Canale
di Caen occupati nella notte. Le pesanti e continue controffensive tedesche
terminano solo il 12 giugno, con la conquista di Bréville da parte di un
contingente misto di Para e fanteria coperto da mezzi corazzati. Newton e i
superstiti del 9. Battaglione sono trasferiti nelle retrovie il 17 giugno,
nelle settimane successive torneranno al fronte per svolgervi compiti di
pattugliamento. In settembre il ritorno in Inghilterra, in dicembre di nuovo in
azione: questa volta nelle Ardenne, per rintuzzare l'ultima offensiva tedesca
della guerra. Nel marzo del 1945 Newton partecipa all'operazione Varsity,
lancio in territorio tedesco a est del Reno per preparare l'avanzata delle tre
armate al comando del generale Montgomery. Segue una corsa a perdifiato verso
il Baltico che si chiude a Weimar, dove il Battaglione arriva il 2 maggio con
l'ordine di arrestare l'avanzata sovietica ad ogni costo. Dopo giorni di
tensione in cui si sfiora lo scontro armato tra gli ex alleati, la situazione
si stabilizza all'indomani dell'armistizio (8 maggio). La destinazione
successiva è il Pacifico, ma il Battaglione non fa in tempo a partire perché il
Giappone firma la resa. Newton e gli altri sono dirottati in Palestina con
compiti di "peace-keeping".Nel 1947 Newton si congeda con il grado di caporale. Ha 22 anni e passa i 33 successivi nella Polizia, ricoprendo diversi ruoli fra i quali la direzione della scuola guida di Hendon (nei pressi di Londra). La vita da pensionato non fa per lui, così - dopo l'uscita dalla Polizia - usa le competenze acquisite a Hendon per addestrare squadre anti-rapimento in Paesi "caldi" come le Filippine, l'Honduras, il Guatemala, la Colombia. Nel 1997 diventa cittadino onorario di Londra, nel 2005 la Francia lo insignisce del titolo di Cavaliere della Legion d'Onore. Segretario dell'Associazione dei Veterani del 9. Battaglione, fino al 2018 torna in Normandia tutti gli anni per celebrare l'anniversario del D-Day con gli ex commilitoni. Muore nel settembre del 2018.
Gordon
Newton con l'autore di L'orologio con le ali a Merville nel 2013.
EMIL CORTEIL
Quello che vedete al centro della foto
raffigurante la Compagnia A del 9. Battaglione Paracadutisti britannico (sotto)
è davvero un cane: un pastore tedesco di nome Glen al guinzaglio di Emil
Corteil, 19enne soldato semplice chiamato a occuparsi di lui. Il
"Paradog" è stato addestrato per saltare dall'aereo con un paracadute
simile a quello usato per le biciclette (stesso peso) e, una volta a terra,
per trasportare messaggi tra le varie unità in combattimento, individuare le
mine antiuomo e, con il suo fiuto, la presenza di nemici nei dintorni. Un
"soldato" così piccolo e veloce, si pensa, è un bersaglio difficile
da individuare e abbattere.
Durante l'addestramento gli piace
tuffarsi nel vuoto, ma la notte del lancio sulla Normandia, terrorizzato dalla
contraerea, Glen corre a rifugiarsi sotto una delle panche del Dakota dove
siedono i Para. Corteil e un compagno sono costretti ad afferrarlo e a gettarlo
letteralmente fuori dal portellone. Passa un po' prima che possa saltare anche
il "dog-sitter", però i due riescono a ritrovarsi a terra, o meglio
nei campi allagati dai tedeschi, a chilometri di distanza dall'obiettivo, la
Batteria di Merville. Si uniscono a un gruppo di una quarantina d'uomini
guidato da James Hill, comandante della 3. Brigata di cui fa parte il 9.
Battaglione, e impiegano cinque ore per percorrere i due chilometri che li
separano da Varaville.
Alle
6.45, mentre camminano in direzione di Gonneville, diventano il
bersaglio di un'incursione di aerei alleati che li scambia per nemici e
la colonna è letteralmente decimata. I pochi Para illesi continuano dopo
aver somministrato la morfina ai feriti. Per settimane non si sa nulla
di Emil e del Paradog, che sono dati per dispersi. All'inizio di
settembre, Gordon Newton, di cui leggerete in un altro capitolo dedicato
ai protagonisti, è incaricato di guidare un gruppo nella zona di
Gonneville per dare una degna sepoltura ai compagni che si ritiene siano
stati inumati frettolosamente dai tedeschi nelle ore successive allo
sbarco. È lui a individuare, dentro un cratere, un apparecchio radio
ancora fissato alla schiena di un addetto alle trasmissioni e, subito
sotto, un corpo che riconosce immediatamente come quello di Corteil
perché il pugnale assicurato alla cintura ha un manico inconfondibile,
che il "dog-sitter" aveva intagliato personalmente. E Glen? È sotto il
suo migliore amico, che lo tiene ancora al guinzaglio. Uniti nella vita e
nella morte. Ora riposano entrambi nel cimitero di Ranville (sotto).
ALEC ELLIS FLEXER
Questa lettera era
in mostra presso l'esposizione temporanea "I 100 oggetti della battaglia
di Normandia", ospitata dal Memoriale di Caen nel 2014. Il suo autore è Alex Ellis Flexer, caporale della Compagnia C del 1°
Battaglione Paracadutisti Canadese, che la scrisse ai familiari in quella che
credeva fosse la vigilia del suo lancio sulla Normandia. In realtà, il D-Day fu
posticipato di 24 ore.
Nato nel 1922 da
genitori Russi esiliati, Alec lasciò la scuola a 13 anni per lavorare come
magazziniere in una fabbrica. Si arruolò nell'esercito canadese a 19 anni e
chiese il trasferimento nelle forze aviotrasportate. Dopo l'addestramento a
Fort Benning (Stati Uniti), fu inviato in Inghilterra nel giugno del 1943.
Grande appassionato di musica, portò con sé anche il violino.
Il suo Battaglione fu assegnato alla
3a Brigata Paracadutisti britannica (6a Divisione Aviotrasportata). Il suo
compito nella notte fra il 5 e il 6 giugno era di proteggere i genieri
impegnati nella distruzione dei ponti sul fiume Dives, allo scopo di rallentare
l'avanzata dei rinforzi nemici dopo lo sbarco.
"3 giugno
1944, Inghilterra
Cari mamma, papà,
Beryl
Quando riceverete
questa lettera, saprete già che il mio indirizzo postale è cambiato. Invece di
scrivere "Inghilterra" dopo la data, con ogni probabilità ci sarà il
nome "Francia". I giornali avranno già diffuso ovunque le notizie
sull'invasione. Posso immaginare i vostri sentimenti quando leggerete che ha
avuto luogo un invasione aviotrasportata. Ci hanno appena dato il permesso di
divulgare il fatto che abbiamo trascorso le due ultime settimane in una base di
transito, in attesa del volo che ci porterà a incontrare il "Nemico".
Non ho dubbi che quando leggerete queste righe lo avremo già fatto, anzi ne
avremo incontrati molti. Che sensazione: è strano pensare che mancano solo 24
ore (tutto questo dovrebbe accadere domani notte), eppure sembra così lontano.
Non avevo previsto di scrivere nulla, a parte i vaghi accenni che speravo
aveste colto tra le righe delle mie lettere precedenti. Penso proprio che lo
abbiate fatto. Ma oggi ci hanno detto che abbiamo il permesso di dire tutto, a
parte l'obiettivo che dovremo catturare (se ci riusciremo).
Per favore, non
immaginatemi nei panni di un eroe vanitoso. In questi ultimi giorni mi è
capitato spesso, mentre piegavo il paracadute, preparavo le granate o pulivo le
armi, di avvertire l'ansia associata con un'invasione. Non ho dubbi che domani
saprò raccogliere i frutti di tutto questo lavoro.
Di solito lascio
libero corso ai sentimenti, ma questa volta credo che manterrò l'autocontrollo.
Non voglio che queste notizie vi turbino: dopo tutto, sono solo uno di tanti,
forse tre milioni. È sotto questa luce che dovete vedere le cose.
La mia mente ha
mulinato ogni tipo di pensiero da quando ci hanno dato le istruzioni, spiegato
qual è il nostro compito e come influirà sul corso degli eventi nella testa di
ponte. È difficile resistere a un moto d'orgoglio e quando, come ora, questa
lettera è scritta sulle note sconce di una cantante di night-club che si sgola
per divertirci, si avverte solo la tranquillità che è l'obiettivo di tutto
questo. Milioni di persone sono consapevoli che domani accadranno grandi cose,
e tuttavia è solo nei nostri cuori che sappiamo quanto accadrà. Questa lettera
è replicata innumerevoli voltre attraverso il Paese, senza dubbio milioni di
soldati si sentono come me e scrivono le stesse frasi. Qualunque cosa stiano
pensando, sono certo che non è diversa da ciò che pensa il loro vicino.
Tutti vogliamo che
questa guerra finisca: nessuno più di chiunque altro e qualunque angoscia ci
assalga rimarremo disciplinati e degni di fiducia. Le notizie dall'Italia sono
incoraggianti, perché non dovremmo aspettarci lo stesso dalla Fortezza Europa?
Sono sicuro che sarà così. Tutto ciò che vi chiedo è di prendere questa lettera
per ciò che è. Sto contemplando le cose con serenità e sono sicuro che nulla è
stato lasciato al caso. Siamo un gruppo di combattenti ben addestrati, non ho
dubbi che sapremo prenderci cura di noi stessi e dare del filo da torcere agli
unni. Tutto ciò che vi chiedo è di continuare a scrivermi. È la medicina più
efficace per chiunque, in particolare per coloro che hanno l'ansia da
invasione.
Per ora non credo
di avere altro da scrivere. State tranquilli: continuerò a darvi notizie."
Quello
che segue è il racconto dell'esperienza bellica di Geoff Pattinson nelle parole
del protagonista. Il testo è tratto dalla risposta che mi ha inviato quando
l'ho informato che avevo scritto un romanzo ispirato in parte alle azioni del
9. Battaglione in Normandia. La modestia con cui si definisce "un
sopravvissuto, non un eroe" è tipica della vera grandezza. Geoff Pattinson è scomparso nel 2018.
"Era
previsto che i tre alianti con sessanta uomini della Compagnia A a bordo, più
alcuni genieri e gli esplosivi, toccassero terra dentro il perimetro della
batteria e impegnassero la guarnigione dall'interno, creando una diversione mentre
l'attacco principale procedeva dall'esterno.
"Purtroppo,
due degli alianti atterrarono fuori dall'obiettivo e il terzo in Inghilterra.
Io ero all'interno di quest'ultimo. Durante il volo la mia era una sensazione
d'ansia, mi chiedevo dov'ero andato a cacciarmi. Nessuno parlava, ciascuno era
immerso nei propri pensieri, al buio, senza sapere che distanza avevamo
percorso.
"Improvvisamente
ci fu un sobbalzo violento e un forte rumore. Stavamo planando, il cavo che ci
legava all'aereo si era sganciato.
"L'atterraggio
fu molto pesante, brusco, seguito dal silenzio. Ci preparammo per schizzare
verso il portellone, ma prima che potessimo muoverci un ufficiale ci raggiunse
camminando lungo la fusoliera e ordinò di non muoverci. Scese dall'aliante e
poco dopo tornò, ordinandoci di uscire in ordine. Il cavo si era spezzato e il
caso volle che scendessimo su una pista d'atterraggio dell'aerodromo di Odiham,
nel sud dell'Inghilterra. Non so cosa ne pensassero gli altri, ma le mie
emozioni represse scomparvero e furono sostituite dal sollievo.
"Ci
trasportarono a Brize Norton, cioè nella località da dove eravamo partiti. Ci
misero a disposizione un altro aliante e verso le 5 del pomeriggio ci
imbarcammo per il secondo tentativo di raggiungere la Normandia. Atterrammo
sulla spianata di Ranville, dove era tutto tranquillo ad accezione di qualche
sparo in lontananza. Un ufficiale ci fece salire verso l'incrocio di Le Mesnil,
dove ci appostammo dentro un fossato che offriva una buona protezione. Per i
tre giorni successivi difendemmo la posizione contro una serie di attacchi.
"La
sera del 9 giugno il mio gruppo fu spostato presso il bosco adiacente la Villa
St-Côme. I superstiti del Battaglione erano appostati lì, nelle buche che
avevano scavato. Quella notte i tedeschi ci bombardarono incessantemente con i
mortai e ci concessero una tregua solo all'alba.
"La
mattina seguente, uscii in pattuglia con altri cinque uomini per sgomberare la
villa, che era stata gravemente danneggiata, ma nel frattempo l'avevano
evacuata. Il sergente mi inviò con un caporale verso il lato opposto delle
stalle che si trovavano dietro la villa per spiare ogni eventuale movimento.
Mentre uscivamo all'aperto dopo aver attraversato le stalle, avevamo fatto
pochi passi quando vedemmo apparire un gruppo di tedeschi. Il caporale riuscì a
tornare indietro di corsa, ma i nel frattempo i tedeschi avevano aperto il
fuoco con una mitragliatrice leggera e mi colpirono a entrambe le gambe mentre
stavo raggiungendo l'ingresso. Ero disteso sul pavimento con la faccia in giù e
tentai di rialzarmi, scoprendo che ci riuscivo. Mi trascinai come potevo verso l'altro
lato della stalla e poi nella vegetazione, fino a trovare il posto di pronto
soccorso del reggimento. Ero ferito e spaventato, ma appena si presero cura di
me mi calmai.
Pattinson con il presidente francese François Hollande a Ranville, il 6 maggio 2012.
"Mi
giudicarono inabile a continuare e mi trasportarono sulla spiaggia per essere
evacuato verso l'Inghilterra. Avevo conosciuto il mio battesimo del fuoco,
un'esperienza che non ero ansioso di ripetere. Le cose andarono diversamente da
ciò che speravo.
"Mi
riunii al Battaglione quando tornò nel Regno Unito, trovando i molti assenti
rimpiazzati da volontari ansiosi di unirsi al Reggimento Paracadutisti.
"A
fine dicembre la 6. Divisione Aviotrasportata fu inviata nelle Ardenne, poi ci
lanciammo sul Reno. Attraversammo la Germania fino al Baltico, dove incontrammo
i russi. La guerra era finita, i tedeschi avevano firmato la resa l'8 maggio
1945.
"Poi
fummo inviati in Palestina, dove sono rimasto con il 9. Battaglione fino al
maggio 1947, quando mi fecero tornare in Inghilterra per la smobilitazione.
"Adesso era davvero finita. Tornavo a essere un civile. Un sopravvissuto, non un eroe.
"Adesso era davvero finita. Tornavo a essere un civile. Un sopravvissuto, non un eroe.
Pattinson con Eugene Noble, il pilota americano che la notte prima del D-Day era ai comandi del Dakota esposto presso il museo della batteria di Merville.
Questa è una delle fotografie più celebri del D-Day. I quattro ufficiali che stanno sincronizzando gli orologi sotto l'elica di un Albemarle, presso la base aerea di Harwell, sono, da sinistra a destra: "Bobby" de Lautour, Don Wells, John Visher e Bob Midwood. Appartengono alla 22esima Independent Parachute Company, specialisti della ricognizione e della segnalazione aggregati alla 6. Divisione Aviotrasportata di cui fa parte il 9. Battaglione, protagonista dell'azione cui si ispira il romanzo L'orologio con le ali. De Lautour, che tutti chiamano Bobby per abbreviarne il nome di battesimo (Robert Edward Vane), è di origini canadesi. Nato a Vancouver nel 1916, si trasferisce in Inghilterra con la famiglia quando è ancora piccolo e dopo la scuola dell'obbligo studia due anni presso l'Accademia d'Arte Drammatica per diventare attore. Allo scoppio della guerra, si arruola tra i Granatieri, dove guadagna il grado di capitano, poi presenta la domanda d'ammissione per l'Aviotrasportata. Ottiene il brevetto, ma poco dopo - luglio 1942 - si frattura una gamba e viene dichiarato inabile al servizio nei Para. Non si rassegna e un anno più tardi, perfettamente rimesso, riesce a farsi ammettere nel Reggimento Paracadutisti, ma deve rinunciare al proprio grado ed è retrocesso al rango di tenente. Nell'aprile del 1944, durante l'addestramento per l'operazione Overlord, la copertina della rivista Picture Post mostra una sua foto all'interno di un Dakota, mentre attende il segnale per il lancio. La sera del 5 giugno, dopo aver sincronizzato l'orologio con quelli degli altri ufficiali, parte per la Normandia a capo di uno dei gruppi incaricati di segnalare le zone d'atterraggio per i compagni che si sarebbero lanciati poche ore più tardi. Impresa riuscita solo parzialmente perché gran parte del materiale da usare per la segnalazione va perduto. Tra le disavventure di de Lautour c'è la caduta in una fossa usata come discarica di letame da un contadino francese, con le conseguenze immaginabili. Dopo l'attacco alla Batteria di Merville, de Lautour raggiunge i compagni della 22esima a Bas-de-Ranville, poi svolge compiti di appoggio alle varie unità dislocate nella zona, tra le quali il 9. Battaglione. Recupera il grado di capitano perché buona parte dei suoi superiori vengono feriti o uccisi. È lui, il 20 giugno, a guidare l'attacco a una postazione avanzata tedesca presso Le Mesnil per valutarne la consistenza e catturare prigionieri da interrogare. La missione è coronata dal successo, ma de Lautour è ferito e muore durante il trasporto all'ospedale da campo.
Nella foto sopra, la sua lapide nel cimitero di Ranville. Il 29 luglio 1944, il Picture Post pubblica un omaggio a de Lautour sotto il titolo "A boy grows to be a fighting man" ("Un ragazzo cresce per diventare un combattente"). Nella pagina (sotto) appaiono la sua foto con la Principessa (e futura Regina) Elisabetta, in visita presso la base della compagnia poche settimane prima del D-Day, e sei immagini della sua vita, dall'età di 3 anni fino a 27. De Lautour è uno degli eroi di guerra britannici più amati perché è vicino alla gente comune: non un militare di carriera, ma un uomo normale che si è messo volontariamente al servizio del proprio Paese nel momento del bisogno.
Cos'è accaduto agli altri ufficiali che appaiono nella foto all'aeroporto? Il tenente Wells fu ferito la sera del 6 giugno ed evacuato. Il tenente Midwood rimase in Francia fino al 19 giugno malgrado le ferite riportate nel lancio di due settimane prima e fu promosso capitano. Il tenente Visher, promosso capitano a sua volta, sostituì de Lautour e guidò l'unità fino al termine della battaglia di Normandia.
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